Come aiutare un figlio che non vuole lavorare. Al giorno d'oggi i casi di disoccupazione sono purtroppo numerosi. Un figlio che non vuole lavorare può comunque significare tante cose: si può trattare di scarsa motivazione, di mancata comprensione di cosa realmente si voglia fare, o di difficoltà nel trovare le giuste opportunità. Qualunque sia la causa di una mancata occupazione, un genitore deve cercare di capire lo stato d'animo del proprio figlio, aiutandolo a raggiungere la direzione più giusta per le sue esigenze.
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I giovani che non studiano e non lavorano hanno un nome: i NEET, acronimo inglese di “Not in Education, Employement or Training”, a indicare proprio quei giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano, non studiano e non frequentano alcun tipo di corso di formazione. I NEET, nello specifico, vengono suddivisi in:
giovani disoccupati: chi non ha un lavoro ma lo sta attivamente cercando;
giovani inattivi: chi non ha un lavoro e non ha intenzione di cercarlo;
ELET (Early Leavers from Education and Training): chi ha interrotto precocemente gli studi;
neolaureati;
chi decide di prendersi una pausa dal lavoro o dallo studio per esigenze personali.
Ma quali sono le motivazioni che spingono i giovani a rimanere in questa situazione di stallo? In parte sono da ricercare sicuramente nell'economia e nel mancato dialogo tra domanda e offerta di lavoro, ma anche nei contesti sociali in cui crescono, dove dilaga la disuguaglianza sociale e un scarso orientamento già dalle scuole superiori. Molti si ritrovano a non capire quale possa essere il percorso più adatto alle proprie attitudini, altri sono indecisi se iscriversi all'università o iniziare a lavorare. Ed è proprio in questo clima di incertezza che nasce lo sconforto sempre più opprimente, finendo in un perenne limbo.
Ognuno di questi ragazzi ha una propria storia, ma la crisi economica e la pandemia hanno sicuramente contribuito ad accelerare il processo di precarietà, tra aumento del costo della vita, mancanza di posti di lavoro e stipendi inadeguati. Ne deriva una mancanza di obiettivi che, a lungo andare, provoca problematiche a livello economico, sociale e individuale.
Anche le cause familiari giocano un ruolo molto importante nella scelta di vita dei ragazzi che non lavorano. Spesso, infatti, si sentono poco supportati dai genitori, o addirittura troppo protetti dalle loro “ali”, sapendo di poter contare sul loro aiuto economico, preferendo stare a casa piuttosto che impegnarsi in attività produttive. Pertanto, cosa possono fare i genitori per aiutare un figlio che non vuole lavorare? Andiamo a scoprirlo con i seguenti consigli:
valorizzare le sue capacità e attitudini: la spinta motivazionale è fondamentale per fargli capire quanto possano valere le sue passioni e inclinazioni, a prescindere dall'aspetto salariale e dal tipo di lavoro che potrebbe fare al caso suo;
instaurare un dialogo aperto: un genitore deve saper sostenere il figlio dandogli l'opportunità di esprimersi senza la paura di essere giudicato con messaggi del tipo: “Io ci sono, dimmi in cosa ti posso aiutare, rispetto comunque le tue scelte”;
osservare e ascoltarlo: spesso basta anche solo ascoltare ciò che tuo figlio ha da dire, cercando di ottenere più informazioni possibili sulla sua situazione psicologica. Magari la tua visione non è simile alla sua, ma per sbloccarlo è essenziale dimostrare curiosità e vicinanza allo stesso tempo;
stimolarlo senza opprimerlo: consigliare non significa imporre le proprie opinioni. Al contrario, puoi dire: “Ho fiducia in te, se vuoi puoi, credici”, “Cerca di capire cosa ti piace fare, se fai un lavoro che ti piace, le difficoltà le superi con la determinazione”, oppure “Non ti preoccupare di quello che a me sarebbe piaciuto che tu facessi, qualsiasi sia la scelta, ti aiuterò a realizzarla”;
punta sui suoi punti di forza: cerca di dare risalto alle sue capacità e non su quello che non sa fare. Spronalo nel fargli capire che non sono importanti i limiti, bensì l'impegno e l'andare oltre le difficoltà;
smetti di essere un “genitore faro”: spesso i genitori si dimostrano iper protettivi nei confronti dei propri figli. Incoraggiare e supportare, infatti, non significa necessariamente darla vinta a tutti i costi, giustificando il figlio perché magari è triste e sconfortato. Molte volte serve anche il cosiddetto “pugno di ferro”, dimostrando autorità e intransigenza;
non proiettare i tuoi desideri su quelli dei tuoi figli: quando ad esempio si esprime forte preoccupazione in merito alle possibilità lavorative e, invece di motivare il figlio all’individuazione delle proprie capacità, competenze e motivazioni, si trasferisce la propria preoccupazione a riguardo. Questo non fa che produrre nel giovane un'ansia che incrementa la difficoltà alla scelta della propria strada.
Viviamo tempi difficili, lo sappiamo, e gli ultimi anni non hanno fatto che aumentare dubbi e paure sul proprio futuro. Ma gli ostacoli nella vita ci sono e ci saranno sempre, ricordatelo. Non arrenderti e fai di tutto per trasmettere a tuo figlio la sicurezza di cui ha bisogno, senza tappargli le ali, ma allo stesso tempo con una giusta dose di realismo, imprimendogli una forza tale da superare al meglio il suo periodo di sconforto.
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