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Cresce il numero degli italiani emigrati: giovani e laureati cercano paghe più alte e maggiori opportunità di scelta

LUNEDÌ 26 AGOSTO 2024 | Lascia un commento
Foto Cresce il numero degli italiani emigrati: giovani e laureati cercano paghe più alte e maggiori opportunità di scelta
Scritto da Gabriel Bertinetto

Non conosce sosta, ed anzi sembra intensificarsi, il flusso migratorio degli italiani verso altri Paesi. Gli ultimi dati attendibili riguardano il 2022 e sono di fonte Istat. In quell’anno sono espatriati 100mila concittadini, mentre solo 74mila hanno intrapreso il cammino inverso. Ne deriva che a fine 2022 i connazionali residenti oltre frontiera erano in totale 5.940.000. Bisogna precisare che la cifra corrisponde al numero delle iscrizioni all’AIRE, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Poiché molti conservano la residenza italiana, si può stimare che la quantità dei connazionali che vivono in altri Paesi sia molto superiore ai circa 6 milioni certificati dalle statistiche ufficiali. 

 

All’interno di questo fenomeno un caso particolare è costituito dalla cosiddetta “fuga dei cervelli”. Di quei centomila espatriati nel 2022 più del 30% disponevano di un titolo universitario e più del 32% di un diploma. A provare la propensione degli italiani istruiti a cercare altrove un lavoro e là costruire la propria carriera è anche la prevalenza di chi non ha neppure un titolo di scuola secondaria fra coloro che tornano in Italia. Rappresentano infatti quasi la metà del totale, mentre i laureati che rientrano a casa non sono neanche il 23%. 

 

La tendenza degli italiani con titolo di studio universitario ad andarsene all’estero non è una novità degli ultimi anni. In uno studio del 2003 intitolato “How large is the Brain Drain from Italy” (“Che dimensioni ha la fuga dei cervelli dall’Italia”) i ricercatori Sascha Becker, Andrea Ichino e Giovanni Peri indicavano nel 1992 la data d’inizio del flusso. In quell’anno la quota di laureati sul totale degli emigranti superò la quota dei laureati rispetto al totale dei cittadini in età lavorativa. In altre parole, secondo gli studiosi, l’emigrazione cominciava ad intaccare “il capitale nazionale di personale qualificato”. Da allora le cose non sembrano essere cambiate granché. Dal “Referto sul sistema universitario” prodotto dalla Corte dei Conti nel 2021 si evince come dal 2013 in poi ci sia stata una crescita di oltre il 40% nei trasferimenti oltre frontiera per motivi di lavoro. Ed è significativo che molti indicatori restino sostanzialmente stabili con il trascorrere degli anni: dalla quota di laureati sul totale degli espatriati (circa un terzo) alla prevalenza dei giovani di età inferiore ai 35 anni fra coloro che fuggono dall’Italia. Nel 2018 erano tre quarti del totale, e un terzo di loro muniti di titolo universitario. Nel 2022 i giovani erano ancora in netta maggioranza (circa il 55%). In persistente crescita da almeno 15 anni è anche la quota femminile. Secondo la Fondazione Migrantes, il numero delle donne che hanno scelto di cercare lavoro all’estero è salito del doppio rispetto a quello che era nel 2006.

 

Quali sono le cause dell’esodo? Certamente pesa molto il confronto fra i livelli retributivi in Italia e altrove. Secondo l’ultimo Rapporto Almalaurea, un neo-laureato in Italia guadagna in media 1330 euro netti al mese, parecchie centinaia di euro in meno rispetto alla paga che può percepire in molti Paesi stranieri. Conta anche la relativa difficoltà a trovare un’occupazione qui da noi a causa delle caratteristiche del nostro mercato del lavoro. E sempre per quanto riguarda i “cervelli” incide assai la scarsità dei fondi destinati agli investimenti per la ricerca nel nostro Paese. La Francia investe il doppio di noi, la Germania perfino il triplo.

 

Interessante vedere quali siano le mete preferite dagli emigranti. Se guardiamo alla situazione complessiva maturata nel tempo, la distribuzione dei nostri connazionali nei cinque continenti, vede al primo posto l’Europa, dove oggi risiedono complessivamente poco meno di 3 milioni e 250mila italiani. Segue il continente americano con quasi 2 milioni e 400mila. Molto più distanziati Oceania (165mila), Asia (76mila) Africa (70mila). In qualche modo il quadro generale rimane simile anche quando esaminiamo quali siano i movimenti migratori ai giorni nostri. Secondo un’inchiesta del Boston Consulting Group (Bcg) in testa troviamo infatti tre Paesi europei: Svizzera, Spagna, Germania. Poi vengono gli Stati Uniti, mentre è scesa al quinto posto la Gran Bretagna, che era in cima alla lista prima della Brexit. Seguono Francia e Australia.

 

A proposito di quest’ultima nazione, va detto che pur essendo solo settima fra le preferenze degli italiani, essa è invece in assoluto a livello mondiale la terra maggiormente cercata dagli emigranti, avendo soppiantato negli ultimi anni il Canada e gli Stati Uniti. Se però guardiamo non al Paese ma alle singole città, è Londra la numero uno. Il suo primato è sopravvissuto all’uscita del Regno Unito dall’ Unione Europea. Tra i fattori che rendono la capitale britannica attrattiva, gli intervistati da “Bcg” indicano l’alto livello delle tecnologie informatiche ed il fatto che la lingua nazionale sia quella più diffusa e conosciuta nel mondo. Quest’ultimo elemento del resto è lo stesso per il quale gli emigranti tendono a indirizzarsi verso Australia, Usa, Canada, etc. Per quanto riguarda l’Italia, nella classifica dei Paesi preferiti a livello internazionale essa si colloca al dodicesimo posto.

 

Secondo il Boston Consulting Group le ragioni per cui le persone lasciano il proprio Paese sono le stesse un po’ ovunque. Non si cerca soltanto uno stipendio più alto. Conta anche la speranza di trovare un migliore clima aziendale, maggiore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, un più pronto riconoscimento del merito e delle competenze. Tutte queste spinte sono particolarmente forti nel motivare l’esodo degli italiani, soprattuto in età giovanile. In assenza di elementi statistici precisi e dettagliati, si può fare riferimento alle valutazioni della società per ricerca e selezione dei talenti “Reverse”, elaborate attraverso il confronto dei profili manageriali e impiegatizi esaminati nelle varie sedi in cui essa opera, Italia compresa. Un dato interessante è che il più delle volte colui che decide di lasciare l’Italia lo fa vincendo una forte resistenza interiore all’abbandono dei luoghi e delle persone amate. Sul sentimento prevale però la convinzione dil non avere alternative. Altro elemento importante, almeno per i laureati, è la ricerca di una terra in cui il titolo di studio garantisca una retribuzione superiore a quella disponibile in Italia. Collegato a questo aspetto è il desiderio di conseguire un’autonomia che eviti di ricorrere al supporto finanziario della famiglia di origine. 

 

Detto degli espatri, qualche parola sul fenomeno inverso. L’ultimo anno rispetto al quale sono disponibili dati certi è il 2022, quando i ritorni sono stati inferiori di 25 mila unità rispetto alle partenze. Bisognerà vedere quale effetto avranno nel medio-lungo periodo gli incentivi offerti in varia misura dai diversi governi a partire dal 2015. A fine 2023 il governo in carica ha tagliato in maniera drastica le agevolazioni fiscali previste per i rientranti, ponendo anche una serie di condizioni e limiti per l’erogazione. Interessanti le opinioni raccolte fra 400 connazionali tornati in Italia, nel corso della ricerca “Bentornata Italia” svolta da “ChEuropa”, “Forum della Meritocrazia” e “Tortuga”. Circa il 70% degli individui rientrati fra il 2016 e il 2023 dichiarano che gli incentivi sono stati fondamentali nello spingerli a tornare.



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