Nelle ultime settimane si è parlato spesso (e si continua a farlo) di un argomento che oramai sfiora i limiti della viralità: l’Influencer Marketing, o meglio, il primo corso di laurea in Influencer Marketing in Italia. Il tema in questione ha suscitato non poche polemiche, creando divisioni ideologiche tra chi schiera a favore e chi nettamente contro. Cerchiamo di fare chiarezza. Il percorso di laurea è stato ideato dall’Università eCampus, che si definisce attenta sostenitrice delle nuove opportunità offerte dal mondo del lavoro; per questo motivo ha creato un tipo di formazione, all’interno del più ampio indirizzo di laurea Scienze della Comunicazione, che prepara in modo consapevole chi desidera intraprendere la carriera nel web e nei social.
Leggi anche: “Lavorare e guadagnare online: il connubio perfetto del futuro”
Ma andiamo per ordine. Sappiamo veramente cosa significa il termine “Influencer Marketing”? Molto generalmente e se vogliamo, banalmente, viene perlopiù definito come una sorta di hobby con il quale guadagnare del denaro, esibendo semplicemente il proprio viso e il proprio corpo per pubblicizzare prodotti specifici, solitamente appartenenti al settore estetico, dell’abbigliamento e della bellezza. Tutto questo ovviamente attraverso i social media come Instagram e Facebook con post, video e stories mirati allo scopo con prodotto ben in evidenza e link correlato per completare l’acquisto.
In verità, dietro questa comune prassi conosciuta ai più, per chi questo lavoro lo fa con estrema serietà, impegno e tanto studio, c’è molto altro dietro. Con “campagna di Influencer Marketing", infatti, si intende il coinvolgimento di un Influencer da parte di un brand per scopi puramente commerciali. Questo consiste nella diffusione sul web e sui principali social network di contenuti testuali, fotografici e video, generando un effetto pubblicitario e un’accettazione da parte del target mirato allo scopo.
Vi sono due diverse macro-categorie di Influencer. La prima in base al pubblico e al numero di seguaci: secondo l’associazione americana ANA (Association of Nartional Advertisers) vi sono micro-influencer (fino a 25mila follower), macro-influencer (fino a 100mila), mega-influencer (fino a 500mila) e celebrity (oltre 500mila). La seconda in base al grado di influenza esercitata. Secondo Forrester Research vi sono:
Da questi dettagli, possiamo comprendere come non serva necessariamente essere personaggi famosi per finalizzare all’acquisto. Il fattore X per centrare il bersaglio è la condivisione autentica e sincera dei contenuti creati; gli utenti ripongono in essi la massima fiducia e tradirla sarebbe una mossa che andrebbe a compromettere l’influenza generata.
Per implementare una corretta strategia di Influencer Marketing si deve quindi partire con una valida ricerca del target ideale, una pianificazione degli obiettivi e una definizione del budget a disposizione: elementi fondamentali affinché si possa coinvolgere e posizionare il prodotto in maniera valida. Proprio per questo, in fase di selezione, vengono poi presi in considerazione il livello di credibilità e la capacità reale di vendere in base anche a dati socio-demografici e la qualità dell’audience.
Importante sottolineare anche come l’intera attività pubblicitaria deve essere il più trasparente possibile grazie al regolamento imposto dalla Federal Trade Commission a partire dal 2017, che impone delle precise linee guida per garantire la riconoscibilità dei contenuti promozionali pubblicati dagli influencer (attraverso un hashtag #, un testo o altro).
Pertanto, a cosa serve l’Influencer Marketing? Serve a creare e consolidare community grazie a competenze specifiche, generando, oltre che influenza d’acquisto, un messaggio preciso, amplificandolo e veicolandolo a un preciso pubblico di riferimento che non potrebbe essere raggiunto con altri mezzi. Pensiamo solamente al potere e all’autorevolezza che produce (lead generation) con la quale si incrementa il traffico verso un sito web o un eCommerce, producendo conversioni e quindi facendo conoscere e e vendere un prodotto o un servizio. Indispensabili quindi per creare un’identità specifica a marchi che, altrimenti, non potrebbero esistere.
Quali sono i dati dell’Influencer Marketing? l’ONIM, Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, ha creato un report relativo al 2018, nel quale si delinea un approccio concreto all’Influencer Marketing da parte delle aziende: il 67% degli intervistati dichiara di aver realizzato tra 1 e 3 progetti, il 67,22% dei marketers dichiara di essere soddisfatto dei risultati ottenuti e di voler aumentare il budget per le prossime iniziative (67,5%).
In precedenza abbiamo accennato alla generalità con la quale si identifica l’attività di Influencer. Si è infatti portati a definire tali Chiara Ferragni, Mariano di Vaio, Giulia de Lellis, Beatrice Valli e via dicendo, ma la verità è che dal report si evince come altri settori siano molto forti e in constante crescita:
Nel settore Food&Beverage, sulla cresta dell’onda vi sono per esempio Sonia Peronaci, fondatrice di “Giallo Zafferano”, tra i siti di cucina più importanti al mondo, la regina delle food blogger Benedetta Rossi con il suo “Fatto in casa da Benedetta” e Valeria Cicotti con “Vale Cucina e Fantasia”.
Leggi anche: “Le 100 donne italiane più influenti secondo Forbes: un tripudio di talento e successo”
Nel settore Travel troviamo Mattia Miraglio, che negli ultimi cinque anni ha completato il giro del mondo a piedi, e Marco Togni, appassionato dei viaggi in Giappone, creatore di GiappoTour che con BlueberryTravel propone viaggi organizzati proprio nel Sol Levante.
Nel Fitness da tenere d’occhio ci sono Oliver Montana, Sergio Chisari e Mad Carolina, tutti portavoce del benessere, dell’attività fisica e della corretta alimentazione.
Sono solo una fetta davvero piccola dei personaggi italiani più seguiti e autorevoli, professionisti che hanno saputo raccontare ed esprimere le proprie passioni convertendole sapientemente in un lavoro vero e proprio. Internet ha creato un mondo dove si può sviluppare un'attività di comunicazione in modo serio e professionale senza la quale oggi non ci potrebbero essere le stesse opportunità, lo stesso approccio ai nostri bisogni, al modo in cui giudichiamo e acquistiamo. Qualcuno probabilmente tenta di lucrare, di guadagnare facile, ma questo capita da sempre anche fuori dalla rete. Questo per comprendere ancora più a fondo come dietro un semplice corso di laurea che alcuni definiscono inutile e imbarazzante, c’è ben altro, materie che si studiano da anni anche in Italia e che sono alla base dei processi comunicativi e culturali moderni. Parliamo per esempio della psicologia, informatica, sociologia unite al più moderno insegnamento di social media marketing.
Perché allora ci si arrabbia così tanto? Forse perché si ha paura di ciò che non si conosce, perché si tende a sottovalutare il futuro, a bendarsi gli occhi di fronte al cambiamento che, però, non si può fermare. Ma bisogna anche saper distinguere la cosiddetta “fuffa” da ciò che non ha né arte, né parte, informarsi, e solo in quel momento prendere una decisione su quanto visto e detto finora.
Voi cosa ne pensate? Avete delle idee precise riguardo l' argomento in questione? Scrivetecelo nei commenti qua sotto ;)
Consulta anche: “Nuove professioni digitali: quali sono le più richieste e le competenze necessarie da inserire nel cv"