Lo smart working, o lavoro agile, può veramente aiutare la salvaguardia dell’ambiente e quindi, l’ecosostenibilità generale del pianeta? La risposta sembrerebbe sia affermativa, grazie soprattutto alle minori emissioni di CO2 di milioni di tonnellate all’anno, e all’abbassamento dei volumi del pendolarismo quotidiano dei lavoratori. Ma prima di procedere, facciamo un breve excursus sulla definizione di smart working. Si tratta di un’alternativa al lavoro in ufficio, reso possibile grazie all’introduzione delle nuove tecnologie che semplificano il lavoro a distanza. Si offre l’occasione quindi di poter svolgere il proprio lavoro per qualche giorno alla settimana da qualsiasi parte del mondo, che sia in una località esotica, al caldo in un rifugio in montagna, o comodamente dalla propria abitazione. Ovviamente, i tempi e le modalità di svolgimento del lavoro sono stabilite in anticipo secondo il contratto e gli accordi con l’azienda e il datore di lavoro.
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Oltre allo smart working, rientrano nella categoria dei lavori che aiutano la difesa dell’ambiente anche le professioni svolte completamente in remoto: parliamo ad esempio dei liberi professionisti, anch’essi complici indubbiamente della riduzione degli spostamenti tra casa e ufficio. Certo, siamo dell’opinione che per aiutare concretamente nella battaglia per la difesa del pianeta, non occorra solo evitare di utilizzare l’auto o i mezzi pubblici (quest’ultimi sicuramente più apprezzabili rispetto all’uso spropositato di carburante ogni giorno); si potrebbe pensare ad esempio di recarsi a lavoro in bicicletta, o ridurre i livelli di riscaldamento in ufficio o, molto più drasticamente, limitare le ore di lavoro. Un’opzione che deriva da una nuova analisi del think-tank Anatomy, a cura di Philipp Frey; gli scienziati del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC), sostengono fortemente quanto sia necessario limitare le emissioni di gas a effetto serra, causa principale dell’ormai noto surriscaldamento globale. Di conseguenza, gli scienziati sono concordi nell’affermare che l’orario di lavoro e le emissioni di gas a effetto serra siano senza dubbio in relazione tra loro.
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“La settimana lavorativa sostenibile, in base ai livelli odierni di produttività e intensità di carbonio, dovrebbe probabilmente essere ben al di sotto delle dieci ore a persona, anche nelle economie relativamente efficienti in termini di emissioni di carbonio”. Così affermano gli esperti della ricerca. Una missione che pare impossibile, ma che aiuta comunque a comprendere quanto sia devastante l’impatto delle condizioni lavorative odierne per l’intero pianeta.
I benefici socio-economici dello smart working sono comunque molto concreti, secondo i dati calcolati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Se le aziende, infatti, dovessero adottare un modello ben strutturato di lavoro agile, ci sarebbe un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, il che significherebbe ben 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi per l’Italia. Anche una sola giornata lavorativa di smart working a settimana potrebbe far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti, fondamentale per il fattore ambiente, specialmente riguardo alla riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno. Discorso simile per la Svizzera: secondo l’indagine portata avanti qualche anno fa da My Climate, se altri 45mila impiegati lavorassero da casa una volta alla settimana, sarebbe possibile risparmiare 4,5milioni di chilometri percorsi in auto alla settimana, e 2,6 milioni di chilometri con i mezzi pubblici. Di conseguenza, si eliminerebbero 1.400 tonnellate di CO2 alla settimana e, calcolando 47 settimane di lavoro all’anno, sarebbe possibile risparmiare circa 67mila tonnellate di CO2.
Possiamo confermare che il lavoro flessibile migliori sicuramente l’impatto sull’ambiente: secondo uno studio intitolato Added Value of Flexible Working, commissionato dalla società di ricerche di mercato Development Economics, se ci fosse una diffusione su scala mondiale di questa tendenza, nel futuro prossimo ci saranno delle consistenti riduzioni dei livelli di anidride carbonica di ben 214 milioni di tonnellate entro il 2030, l’equivalente di piantare 5,5 miliardi di alberi. Analogamente, si aumenterà anche la produttività degli impiegati, riducendo anche i costi generali per le imprese.
Qual è il Paese più all’avanguardia secondo il modello dello smart working? Secondo le ricerche condotte, la Svezia ottiene il primo posto della classifica con il 51% dei lavoratori, seguita dalla Repubblica Ceca con il 48%, dalla Slovacchia e dalla Norvegia con il 40%, dalla Germania con il 34%, dall’Austria con il 32%, dall’Inghilterra con il 24% e per finire dall’Italia. Il nostro Paese avrebbe circa 35mila lavoratori smart, pari all’8% del totale dei lavoratori. Non è facile, infatti, trovare il parere positivo e concorde dei datori di lavoro che ancora oggi ritengono che essere lontani dall’ufficio significhi lavorare poco e in maniera non adeguata, e avere il minor controllo dei propri dipendenti. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, a oggi gli smart worker in Italia sono 480mila, per fortuna in crescita del 20% rispetto all’anno precedente; il 56% delle grandi imprese sta già procedendo verso un lavoro più flessibile per scelta di luoghi e orari di lavoro, nelle piccole e medie imprese invece l’8% del campione ha avviato progetti strutturati e l’altro 16% ha sperimentato approcci più informali.
L’Italia purtroppo è tra i primi posti in Europa per concentrazione di ozono. La causa? Auto e industrie. Meno pendolarismo significherebbe meno traffico e minor tempo trascorso in mezzo al traffico, migliorando nettamente la qualità dell’aria. Al giorno d’oggi tutto è possibile grazie ai dispositivi digitali, a Internet e ai sistemi di archiviazione informatica, quindi ci chiediamo: perché non provare a garantire maggiore stabilità ambientale unendo anche benessere e beneficio per la salute dei lavoratori?
Il tasso di consumo per le apparecchiature in ufficio è il doppio rispetto a quelle utilizzate a casa o in qualunque altro ambiente a distanza: si risparmierebbero valanghe di soldi diminuendo il consumo energetico dedicato al riscaldamento e al raffreddamento degli ambienti, si limiterebbe l’utilizzo della carta privilegiando quindi i documenti digitali e lo spazio virtuale di archiviazione. E come non pensare al risparmio dato dallo smaltimento dei rifiuti, al bisogno di non accendere decine e decine di luci per sale colme di lavoratori, e agli esorbitanti costi di gestione dell’arredamento degli spazi lavorativi?
Largo quindi alla piena consapevolezza di ciò che sta realmente accadendo in Italia e nel mondo, prendiamo consapevolezza degli enormi vantaggi dati dal lavoro agile e tentiamo perlomeno di adottare stili di cita e di lavoro più moderni e adatti alla società nella quale viviamo.
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