Il lavoratore fragile è considerato tale poiché presenta patologie pregresse a causa delle quali, in caso di infezione da Covid-19, potrebbe avere delle conseguenze più gravose rispetto ad altri individui. Condizione di ulteriore svantaggio, secondo la normativa, è costituita dalla combinazione di età avanzata (over 55) ed una o più patologie. Essendo correlata principalmente all’emergenza pandemica, la fragilità è da considerarsi una condizione temporanea.
Ai sensi dell’art. 26 comma bis del DL 104/2020, i lavoratori fragili, siano essi dipendenti pubblici o privati, possono ottenere il rilascio della certificazione dal proprio medico di base o dalle autorità sanitarie competenti. Già prima della pandemia il lavoratore poteva rivolgersi al proprio MMG (medico di medicina generale) per attestare uno stato di malattia oppure al medico competente o la struttura pubblica che potevano decretare l’idoneità/inidoneità del lavoratore, rilasciare prescrizioni in base al contesto clinico.
In particolare, il medico competente, ovvero il medico del lavoro, è responsabile della:
Di seguito un elenco di alcune delle condizioni che possono essere meritevoli di certificazione:
Tra le patologie rientrano, ad esempio: malattie congenite o acquisite che provochino una produzione carente di anticorpi, malattie infiammatorie croniche, malattie dell’apparato cardio-circolatorio, insufficienza relate/surrenale cronica, malattie neuromuscolari e patologie croniche che sono state individuate e sancite dal Ministero della Salute nel decreto del 4 febbraio 2022.
Lo stesso decreto stila anche i benefici ai quali avrebbero diritto i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, in possesso di una certificazione rilasciata dagli organi medico-legali competenti e i lavoratori in possesso di riconoscimento di disabilità grave ai sensi della Legge 104/1992:
Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) ha stabilito che, sulla base dei dati a disposizione fino ad ora, le donne in gravidanza sono maggiormente a rischio di malattie gravi da COVID-19 rispetto a donne non in gravidanza, e che potrebbero essere a rischio di ulteriori esiti avversi quali la nascita prematura del bambino.