Il Performance Management (PM), o gestione delle performance, è sempre più considerato dalle aziende come uno strumento utile non solo a valutare e valorizzare il personale ma più in generale a massimizzare il rendimento produttivo. Ne parliamo con Arianna Visentini, fondatrice e presidente di “Variazioni”, una società di consulenze con sede a Mantova, che assiste le imprese nei processi di ammodernamento e miglioramento organizzativo.
Cos’è esattamente, dottoressa Visentini, il “Performance Management” che voi di “Variazioni” promuovete presso le aziende italiane? A cosa serve?
Lo definirei un metodo per scegliere indicatori e strumenti utili a monitorare e valutare il raggiungimento dei risultati che un’impresa si è proposta. Il Performance Management (PM) è un sistema di gestione con cui si individuano dei parametri atti a rivelare in che modo un’azienda, o un’area produttiva, o un “team”, o un singolo individuo perseguono certi scopi. In altre parole, avendo fissato degli obiettivi, devo poi verificare in che modo essi vengono concretamente perseguiti nel processo lavorativo. Per fare questo isolo un set di indicatori che mi aiutano a comprendere se l’azienda nel suo insieme o un particolare reparto o un singolo operatore stanno agendo rispetto alle finalità che si intende raggiungere.
Per quali ragioni il Performance Management si sta imponendo all’attenzione oggi nel mondo del lavoro?
In realtà la gestione delle performance rientra nel novero dei processi di cui un’azienda dovrebbe sempre dotarsi. Il mondo produttivo italiano però ha caratteri peculiari che esercitano un impatto piuttosto forte nel generare livelli di produttività poco brillanti. Abbiamo un tessuto industriale fatto di soggetti di dimensioni contenute. La stragrande maggioranza sono piccole e medie aziende. Abbondano le imprese padronali, a conduzione familiare, o di modello cooperativo. Questi aspetti del mondo produttivo del nostro Paese hanno fatto sì che sinora il PM fosse uno strumento poco conosciuto, oppure ritenuto inaffidabile, e comunque di limitata diffusione. Oggi però se ne parla molto di più perché nel mondo economico sono avvenuti cambiamenti notevoli che ne dimostrano l’importanza.
A quali cambiamenti si riferisce?
In primo luogo all’espansione del ricorso al lavoro flessibile nelle sue varie accezioni. Esploso durante la pandemia, quando le circostanze rendevano spesso inevitabile il lavoro da remoto, si è poi confermato come modalità operativa gradita per i vantaggi legati alla disponibilità di una certa autonomia spazio-temporale. In tale contesto ecco come ai dirigenti servano strumenti che aiutino a gestire persone non fisicamente presenti, riuscendo comunque a capire se esse agiscano in sintonia rispetto agli obiettivi da raggiungere. Altro cambiamento che stimola il ricorso al PM è la domanda che proviene dai lavoratori stessi ad essere correttamente ed adeguatamente valutati. Rispetto al passato, è sempre più esteso il bisogno di svolgere un lavoro che non sia solo economicamente remunerativo ma anche gratificante. Il collaboratore non è più disposto a cedere il proprio tempo e la propria opera, se ciò non è utilizzato in modo funzionale ad un quadro operativo chiaro. Il lavoratore vuole sapere con chi può interloquire, a chi deve rivolgersi per consegnare i risultati della sua attività, quali sono i risultati da ottenere, e all’interno di questi paletti gestire la propria autonomia operativa. Le motivazioni personali nel rapporto di lavoro oggi esaltano molto più che in passato il desiderio di sentirsi parte attiva nel processo produttivo. Per le nuove generazioni in particolare è importante mettere la propria professionalità a disposizione di un quadro progettuale condiviso. Vogliono essere messi a parte delle strategie aziendali, e sapere a quali valori sociali esse facciano riferimento. In questo contesto si situa un pezzo del processo di valutazione delle performance che mette in rilievo non solo la realizzazione degli obiettivi, ma anche il modo in cui ci si arriva. Ad esempio rispettando l’ambiente, favorendo l’inclusione di genere, comportandosi in maniera socialmente responsabile sia all’interno dell’organizzazione aziendale sia nel rapporto con il pubblico. Infine, tra i cambiamenti in corso nel mondo economico, tali da rendere sempre più attuale il PM, potrei citare la necessità di dotarsi di piani strategici. Spesso l’erogazione di fondi ai quali le aziende potrebbero attingere, è subordinata alla chiarezza dei piani imprenditoriali. Ti finanzio se mi dici esattamente quali disegni intendi perseguire e in che modo, e se rispetti certi imprescindibili valori. A quel punto diventa necessario che ciascuna funzione operativa all’interno dell’organizzazione aziendale, abbia ben presente il progetto industriale globale e stabilisca tempi e modi per attuare la parte che le spetta nel quadro generale. E da ciò deriva l’opportunità di fissare indicatori utili a misurare la complementarità fra i comportamenti delle singole unità produttive rispetto al fine comune.
Mi pare di capire da quanto lei ha detto in precedenza, che esiste comunque una certa resistenza in parte del mondo imprenditoriale, ad adottare strumenti innovativi come quelli che proponete voi di “Variazioni”. E’ così?
Difficoltà emergono nelle aziende legate a pratiche gestionali obsolete, caratterizzate da un’eccessiva discrezionalità di giudizio e dalla presenza di sacche di potere dirigenziale impregnate di un modello rigido di comando/controllo. Rispetto a simili situazioni non è agevole promuovere un orientamento manageriale diverso quale è quello inerente al nostro modello di PM. Nell’azienda tradizionale la scheda di valutazione della performance di un dipendente sta per così dire chiusa nel cassetto del direttore, che la usa in maniera non trasparente per premiare questo o quel soggetto. Il fuori-busta è manovrato secondo criteri arbitrari. Noi chiediamo invece che la valutazione e la gratificazione del merito seguano regole chiare e condivise. I giudizi sulle persone devono essere formulati secondo criteri uniformi ed omogenei. Bisogna superare un modello di leadership auto-referenziale. In un paese che invecchia, anche i manager spesso sono anziani non solo anagraficamente ma anche come portatori di modi operativi ereditati dal passato. Più che di resistenza al cambiamento però, parlerei più generosamente di una certa fatica a comprenderne l’efficacia Si tende a gestire la contingenza o l’emergenza, anziché affrontare la sfida di una programmazione ad ampio raggio. A sopravvivere piuttosto che ad attrezzarsi per attuare un progetto.
Come si lega il Performance Management al Change Management (gestione del cambiamento), che è un altro concetto chiave a cui si ispirano le consulenze aziendali di “Variazioni”?
Diciamo che il PM in se stesso può anche essere un processo di mero adempimento per creare un organigramma ben articolato nei ruoli e nelle funzioni e per realizzare una buona politica retributiva.
Oppure si può legare il PM a processi di miglioramento organizzativo, poiché la gestione delle prestazioni aziendali è fondamentale per monitorare e guidare il successo di qualsiasi cambiamento. Quando un'azienda introduce nuove strategie, tecnologie o processi, è essenziale misurare l'impatto sulle performance per assicurarsi che il cambiamento generi valore. Il Change Management fornisce la struttura per accompagnare le persone attraverso la transizione, riducendo la resistenza e favorendo l’adozione delle nuove pratiche. Il Performance Management, invece, aiuta a stabilire obiettivi chiari, monitorare i progressi e apportare eventuali correzioni. Se un cambiamento non viene monitorato con metriche adeguate, il rischio di fallimento aumenta. Inoltre, il feedback continuo derivante dal Performance Management permette di adattare il cambiamento alle esigenze reali dell’organizzazione. Le due discipline lavorano quindi in sinergia per garantire che l'innovazione sia efficace e sostenibile nel tempo. Un'organizzazione che integra efficacemente entrambi i processi ha maggiori probabilità di successo nella trasformazione aziendale.
Assistite le aziende dall’esterno o partecipate direttamente all’attuazione delle innovazioni che suggerite?
Dipende dalla maturità organizzativa del referente. Se si tratta di un’azienda già ben strutturata e dotata di un buon “forward-looking”, cioè una metodologia basata sulla previsione degli sviluppi piuttosto che sul semplice adattamento alla realtà contingente, interveniamo con un sostegno tecnico. Impostiamo le schede con gli indicatori di valutazione, suggeriamo le modalità del monitoraggio, aiutiamo a formare i manager ai vari livelli operativi istruendoli sui modi per gestire le performance, etc. Se invece abbiamo a che fare con un’impresa più arretrata, interveniamo anche a monte, spiegando il senso della nostra proposta. In alcuni casi abbiamo prodotto carte di intenti o carte di valori collegate ad un piano strategico rispetto al quale scegliere gli indicatori di performance. E’ capitato anche di aiutare nella compilazione del piano strategico stesso.
Tra i criteri che contraddistinguono i vostri interventi è l’opportunità di inglobare nelle strategie aziendali l’adesione a valori di inclusione sociale, parità di genere, rispetto ambientale, e altro. Oltre che eticamente validi questi comportamenti sono economicamente produttivi?
C’è una quantità di studi sull’incidenza delle politiche di inclusione come valore aggiunto in termini di arricchimento delle competenze e dell’efficienza. In particolare è dimostrato che la scarsa presenza femminile in certi luoghi di lavoro danneggia la crescita e fa male al PIL (prodotto interno lordo). La scarsa attenzione alle problematiche di genere induce a commettere errori di marketing. Posso citare l’esempio banale ma significativo di una ditta che ha affidato a un centro di ricerca il design di una scopa elettrica. Quest’ultimo ha proposto un modello di scarsa praticità, che non prendeva in considerazione la necessità che la maneggevolezza dell’oggetto si adattasse sia a mani maschili che femminili. Recentemente un’azienda siderurgica ha incrementato l’occupazione femminile al proprio interno rendendosi conto che per lavorare l’acciaio più che i muscoli serve avere la testa.