Il 2019 sta per concludersi e il mercato del lavoro si prepara all’arrivo del 2020, aprendo le porte a nuove professioni e opportunità lavorative. Le numerose trasformazioni in atto riguardanti la digitalizzazione e l’ecosostenibilità stanno cambiando già da tempo l’approccio al lavoro e al modo in cui acquisire determinate competenze. Il concetto stesso di lavoro sarà modificato grazie anche all’ingresso dell’automazione e della robotica, producendo quindi dei vantaggi in termini di velocità e autonomia, ma che andrebbero per forza di cose a influenzare il ruolo dell’essere umano nell’intero processo.
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In che modo, quindi, il mondo del lavoro cambierà nell’immediato futuro? Sicuramente attraverso un’evoluzione tecnologica associata a un’ampia domanda di posti di lavoro in ambiti specifici. I settori coinvolti saranno quelli dell’ingegneria, della medicina e della comunicazione, sfere nelle quali l’aspetto scientifico e quello umanistico si incontreranno producendo un inevitabile aggiornamento professionale.
Secondo i dati forniti da uno studio del World Economic Forum, il 65% dei bambini che oggi frequenta la scuola, quando saranno diplomati o laureati, svolgeranno lavori che oggi ancora non esistono; allo stesso tempo, si prevede anche una perdita di 7.1 milioni di posti di lavoro, specialmente nei settori amministrativi, manifatturieri e di produzione. Vi sarà però un incremento fino a 2 milioni di posti di lavoro riguardanti i settori della tecnologia, del business e della finanza, del management, della matematica e dell’ingegneria. In ogni caso, resterà un vuoto di circa 5 milioni di occupati.
Restando nel futuro più prossimo, secondo una classifica stilata dall’Università Niccolò Cusano, questi saranno i sette lavori più ricercati nel 2020:
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La situazione in Italia: il 30% dei cittadini non possiede competenze digitali e nelle scuole vi è un solo computer ogni 8 alunni. Per la ricerca e lo sviluppo si investe solamente l’1,3% del Pil mentre la media europea è del 2%. Inoltre, solo l’8% della popolazione dai 25 ai 64 anni è coinvolto in programmi di formazione (la media europea è del 10,8%).
Per quanto riguarda invece la formazione scolastica e la ricerca, è previsto un finanziamento fino a 30milioni di euro per gli istituti tecnici superiori (Its), per gli strumenti tecnologici relativi all’Industria 4.0 e un Fondo, fino a 250 milioni annui a partire dal 2019, per finanziare progetti per lo sviluppo del capitale immateriale. Ancora troppo poco per investire in modo adeguato nella trasformazione tecnologica e nell’avanzamento delle competenze dei nostri giovani. Al di là della tecnologia, bisognerebbe riflettere sullo stato prettamente mentale e ideologico degli insegnamenti presenti nelle scuole italiane, decisamente troppo antichi e inadeguati rispetto al cambiamento che avanza inesorabile nella società.
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