L'Intelligenza Artificiale viene posta sempre più spesso al centro di interessanti dibattiti riguardo il presente e il futuro del mondo del lavoro. Una tematica di grande attualità sia sociale, economica e culturale, che comprende al suo interno argomenti e discipline differenti.
L'espressione “Intelligenza Artificiale” compare per la prima volta nel 1956 al Dartmouth College nel New Hampshire, da un gruppo di accademici desiderosi di riuscire a insegnare alle macchine a migliorarsi autonomamente e a risolvere problemi che solo l'uomo, fino a quel momento, era in grado di fare. Vediamo insieme più nel dettaglio una sua definizione.
L'Intelligenza Artificiale è un insieme di tecnologie informatiche che permettono alle macchine di percepire, comprendere e agire in diverse discipline, quali appunto l'informatica, la matematica, la neurologia, la neurobiologia, la neurofisiologia e via dicendo. Più nello specifico, l'Intelligenza Artificiale è la disciplina che studia la progettazione, lo sviluppo e la realizzazione di sistemi in grado di simulare il comportamento e il ragionamento degli esseri umani. Dallo studio accurato del cervello umano, si tenta infatti di andare a scoprire determinati aspetti della mente in specifici ambiti di azione, molti forse ancora inesplorati. Pensiamo solamente ai modi nei quali avviene l'interazione uomo-macchina e ai calcoli e ai ragionamenti che si riescono a effettuare grazie ai robot intelligenti, che fino a qualche anno fa erano solo frutto della nostra immaginazione. Un vero e proprio potenziamento dell'attività mentale degli uomini, quasi fosse una migrazione di intelligenza e crescita intellettiva che va a migliorare giorno dopo giorno.
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Grazie all'uso dell'Intelligenza Artificiale, si sviluppano costantemente nuove opportunità di lavoro e di crescita economica. Non deve essere concepita solo come un insieme di tecnologie all'avanguardia, ma come un motore di crescita produttiva e di nuovi investimenti professionali. Alcune ricerche condotte da Accenture, confermano il fatto che l'impatto dell'Intelligenza Artificiale sarà determinante in 12 principali settori economici, raddoppiando i tassi annuali di crescita economica nel 2035, andando a modificare la natura del lavoro, e creando una nuova relazione fra l'uomo e la macchina. Inoltre, si stima che l'impatto delle tecnologie dell'Intelligenza Artificiale sul lavoro porterà un aumento della produttività del lavoro fino al 40%, e consentirà ai lavoratori un uso più efficiente del loro tempo.
In aggiunta, i settori nei quali si applica l'Intelligenza Artificiale crescono sempre di più. Proprio per questo motivo, gli studi scientifici per ampliare queste conoscenze sono fondamentali per le nuove opportunità di lavoro. Secondo alcuni dati generati dall'Economic Graph, in Europa e in Italia, se venissero promosse le giuste politiche per incoraggiare i giovani che si iscrivono ai corsi di laurea con sbocchi nell'Intelligenza Artificiale, ci potrà essere un enorme beneficio per il lavoro, in modo tale che domanda e offerta possano incontrarsi nel miglior modo possibile.
Anche Ginni Rometty, CEO e presidente di IBM, pensa che presto ci sarà un vero e proprio cambiamento nel mondo del lavoro: “L'IA cambierà il 100% dei posti di lavoro entro i prossimi 5-10 anni”. Un messaggio importante e che fa riflettere su una rivoluzione professionale già in atto, specialmente nel settore accademico e nei centri di ricerca. Dai dati, emerge che i maggiori professionisti che lavorano nel settore dell'IA risiedono in questi Paesi:
Regno Unito (24%);
Germania (14%);
Francia (12%);
Italia (7,3).
Nelle posizioni successive troviamo anche Irlanda, Finlandia, Cipro, Lussemburgo, Svezia e Paesi Bassi. Purtroppo, emerge un altro dato, più negativo, che evidenzia come l'Europa sia comunque indietro rispetto alla quantità di talenti che lavorano negli Stati Uniti, che assumono il doppio delle persone qualificate per l'Intelligenza Artificiale, nonostante la forza lavoro totale sia solo la metà di quella europea.
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Ci saranno “ripercussioni” riguardo ai lavori già esistenti? Secondo alcuni economisti, i lavori che andranno persi saranno sostituiti da nuovi impieghi, frutto della rivoluzione tecnologica. E questo ciclo si verificherà costantemente con il passare degli anni, come è già accaduto con la Rivoluzione Industriale, giusto per fare un esempio. Si richiederanno quindi nuove capacità e competenze tecnologiche che, secondo i più ottimisti, andranno ad aumentare produttività e ricchezza. Viceversa, alcuni pessimisti ritengono che le macchine potrebbero prendere il sopravvento sull'uomo, il quale avrà un ruolo sempre più marginale. C'è da dire, però, che sì, l'Intelligenza Artificiale trasformerà l'organizzazione e le condizioni generali del lavoro, ma permetterà, in questo modo, di facilitare alcuni compiti prima impossibili, poiché troppo dispendiosi in termini di tempo e di denaro: non si parla di una vera e propria sostituzione ma di nuove funzioni di supporto e di assistenza meno complesse delle precedenti per rendere migliori le performance. E non dimentichiamoci che lo sviluppo del'Intelligenza Artificiale richiede ancora il cervello umano: pensiamo solamente al tempo dedicato alla ricerca, alla manutenzione, al controllo e ai vari test che vengono effettuati continuamente sulle macchine.
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Di conseguenza, si dovrà pensare più che altro a una nuova e moderna organizzazione del lavoro. Ma in tutto ciò, c'è il rischio di creare una sorta di isolamento dei lavoratori? Forse, con l'avvento delle professioni digitali nate da web e dai social media, possiamo confermare una certa prevalenza al lavoro “indipendente”, più che dipendente. Per ora ci si deve concentrare nel formare professioni sempre più qualificate: scienziati, ingegneri, ricercatori e tecnici specializzati. Per farlo, le istituzioni devono impegnarsi in concreti piani di investimento per promuovere la formazione continua in settori tecnologici specifici, non solo per l'Università, ma finanziando tutti i livelli di istruzione, dalle scuole elementari a quelle superiori, con insegnamenti e laboratori ad hoc. Non solo studio, ma esperienza e conoscenza accurata del settore. A tal proposito, IBM sta investendo 1 miliardo di dollari nell'apprendistato per formare lavoratori con competenze tecnologiche, senza che essi siano in possesso di una laurea magistrale. L'importante, infatti, è che i lavoratori possano essere impiegati in modo versatile e con gli strumenti più adatti: questa potrebbe rivelarsi la strada più giusta per mettere in risalto i talenti, non solo quelli che scelgono di frequentare l'Università, ma tutti coloro che hanno risorse e competenze da offrire al mondo del lavoro. Un mondo che dia finalmente spazio a tutti.
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