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Aumento delle dimissioni in Italia e nel mondo: cosa sta accadendo?

MARTEDÌ 30 NOVEMBRE 2021 | Lascia un commento
Foto Aumento delle dimissioni in Italia e nel mondo: cosa sta accadendo?
Scritto da Stefania Pili

Lavoro e dimissioni: nel secondo trimestre del 2021 si è registrato un aumento del numero di contratti terminati a causa della decisione di dipendenti di chiudere il rapporto lavorativo. Tra aprile e giugno si contano addirittura 484mila dimissioni su un totale di 2,5 milioni di contratti cessati, di cui 292mila da parte di uomini e 191mila da parte di donne.

Ma perché sta accadendo tutto questo? Perché molti lavoratori hanno deciso di fuggire dal proprio posto di lavoro? Qualcuno parla di una conseguenza da pandemia da Covid-19, altri parlano di una nuova mentalità, stufa di accettare perennemente compromessi.

 

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Conseguenza post-pandemia o nuova forza lavoro?

Il numero di dimissioni è incrementato del 37% rispetto al trimestre precedente, mentre, rispetto al secondo trimestre del 2020, si parla di un +85%. La causa potrebbe essere derivata dal blocco durato alcuni mesi relativo alla pandemia da Covid-19, ma se i numeri dovessero continuare a crescere, si potrebbe considerare anche l'effetto di un fenomeno di ricollocamento della forza lavoro con lavoratori che da un settore in crisi scelgono di spostarsi in uno in crescita.

I dati del ministero del Lavoro ci dicono anche qualcos'altro: nel secondo trimestre del 2021, a fronte di una crescita tendenziale delle cessazioni dei rapporti di lavoro (+43,7%), le attivazioni sono risultate comunque superiori (+64,5%), così come l'aumento tendenziale dei lavoratori cessati (+27,9%) è più basso di quello dei lavoratori attivati (+48,8%). Tra aprile e giugno c'è stato comunque un incremento delle cessazioni che ha fatto registrare 2 milioni 587mila chiusure dei rapporti lavorativi, con un +786mila unità, rispetto allo stesso trimestre del 2020. I rapporti di lavoro cessati hanno interessato entrambe le componenti di genere, in tutto il territorio nazionale, mostrando un tasso di variazione superiore nel Centro (+69,1%, pari a +275mila) rispetto a quello registrato al Nord (+39,3%, pari a +298mila rapporti) e nel Mezzogiorno (+33,2%, pari a +213mila).

 

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I settori più interessati

La crescita varia anche a seconda dei settori: il più coinvolto risulta essere sanità/sociale con +44%, un dato sicuramente legato alla pandemia, che ha visto gli operatori sanitari impegnati in prima linea nell’emergenza e che hanno preferito rassegnare le dimissioni perché fortemente provati dagli sforzi fisici e psicologici. L’incremento è fortissimo anche per il settore metalmeccanico e costruzioni (+16%), mentre per il commercio al dettaglio e il comparto del turismo, come pure per i servizi finanziari, la variazione risulta negativa, segnalando quindi, per questi comparti, difficoltà tuttora persistenti.

Per l’insieme dei dimessi, nei primi otto mesi del 2021, il tasso di ricollocazione tempestivo è risultato pari al 54% e se escludiamo i senior (over 54) arriva al 62% (59% nel 2019). Sotto il profilo settoriale raggiunge i livelli più alti per i dipendenti del metalmeccanico (64%), dei trasporti-magazzinaggio, della pubblica amministrazione e della sanità-assistenza (60%); i livelli più bassi si registrano per i dipendenti dei servizi di pulizia (38%) e dei servizi turistici (42%). Sotto il profilo professionale, livelli molto elevati si notano per gli infermieri (74%), per i tecnici informatici e statistici (70%) e per i conduttori di mezzi pesanti e camion (66%).

Il bilancio basato sugli spostamenti dei dimessi, inoltre, è positivo per i settori industriali, esclusi quelli dell’industria leggera, mentre nell’ambito dei servizi si segnala soprattutto il dato negativo per turismo/ristorazione. Per quanto riguarda le professioni, il bilancio è positivo per quelle intellettuali, tecniche, semi-specializzate (trainate dalla domanda di conduttori di mezzi pesanti) e non qualificate; è invece negativo per impiegati, professioni qualificate dei servizi (in primo luogo baristi, camerieri, cuochi e addetti alle vendite) e operai specializzati.

 

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Mobilità del mercato e Great Resignation

L’incremento delle dimissioni è riconducibile solo in parte alla pausa pandemica (dimissioni che, in condizioni normali, sarebbero già avvenute). Alcuni licenziamenti, infatti, potrebbero essere ancora impediti dalle norme, indicando strategie di lavoratori che si ricollocano anticipando possibili licenziamenti futuri. Questo significa una riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro con conseguenti processi di selezione di settori e professioni, che comportano miglioramenti nell'incontro tra lavoratori-imprese, ma che, allo stesso tempo, svelano anche tensioni quantitative e qualitative tra domanda e offerta di lavoro e correlate esigenze di professionalizzazione e formazione (e programmazione dei relativi percorsi).

Negli Stati Uniti, il significativo e anomalo aumento delle dimissioni viene chiamato “Great Resignation” o “Big Quit”. Le cause che portano a questa drastica decisione sono le più svariate: dal burnout, alla ricerca di un posto che garantisca il work-life balance.

Secondo gli ultimi dati del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, infatti, ad agosto è stato raggiunto il valore record di 4,3 milioni di americani che hanno lasciato volontariamente il lavoro. Dalla primavera 2021 il valore medio è stato di 4 milioni circa.

Secondo uno studio di McKinsey, società internazionale di consulenza manageriale che affianca aziende, organizzazioni e istituzioni, il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi 4-6 mesi; il 53% dei datori di lavoro ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti e il 64% si aspetta che il problema continui, o peggiori, nei prossimi sei mesi. La ricerca di McKinsey, che ha coinvolto quasi 6mila persone in età lavorativa di Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti, ha rilevato che il 36% di chi si è licenziato non aveva ancora in mano un nuovo lavoro. Ed è proprio questo fattore che contraddistingue il nuovo fenomeno che sta portando le persone a fare un vero e proprio salto nel buio.

Questo trend è confermato anche dallo studio dell’IBM Institute for Business Value (IBV), che ha rilevato che nel 2020 1 dipendente su 5 ha cambiato volontariamente lavoro: Generazione Z (33%) e Millennial (25%) rappresentano le fasce di età che più si sono messe in gioco, mentre, 1 persona su 4, a livello globale, intende cambiare posto di lavoro nel 2021.

La ricerca, che ha coinvolto 14mila lavoratori di tutto il mondo, ha sottolineato che le principali ragioni di questo fenomeno sono la necessità di lavorare in una realtà più flessibile (32%), e la volontà di avere anche incarichi più mirati e soddisfacenti (27%). Nello scegliere il nuovo posto di lavoro, quello che guardano le persone è l’equilibrio tra lavoro e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%). Inoltre, più del 40% ha sottolineato che l’etica e i valori del datore di lavoro sono importanti per motivarli e farli sentire parte di un gruppo, mentre il 36% ha affermato di apprezzare le opportunità di apprendimento continuo.

Tuttavia, ci sono anche altri fattori da prendere in considerazione: troppo tempo in un posto con elevati carichi di lavoro e poca sicurezza sul futuro ad esempio, che inevitabilmente portano a ripensare ai propri obiettivi di lavoro e di vita. Oltre a ciò, è da valutare anche la nuova tendenza dei più giovani: la Yolo Economy (You only live once), che sta portando i Millennials e parte della Generazione Z ad abbandonare il posto fisso per avviare nuove attività e trovare un'adeguata soddisfazione personale, alla ricerca di nuove esperienze di valore.

 

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