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I pro e i contro di un fenomeno italiano: crescono gli occupati ultracinquantenni

GIOVEDÌ 16 MAGGIO 2024 | Lascia un commento
Foto I pro e i contro di un fenomeno italiano: crescono gli occupati ultracinquantenni
Scritto da Gabriel Bertinetto

In provincia di Vicenza c’è un’azienda, la “Brazzale spa”, che in questo periodo assume solo gli anziani. Per due ragioni. Da un lato si prende atto che l’aspettativa di vita si è allungata e i sessantenni di oggi corrispondono spesso ai quarantenni di ieri. Dall’altro capita che per certe attività gli anziani risultino più adatti rispetto ai giovani. O perlomeno questa è l’esperienza vissuta dal titolare della ditta, Roberto Brazzale, deluso dalle prestazioni di alcuni ragazzi di età inferiore a 30 che erano stati assunti in prova all’interno di un progetto per sviluppare un nuovo ramo d’azienda specializzato nella vendita di prodotti alimentari. Dopo avere scartato i giovani l’imprenditore ha trovato fra i suoi coetanei over-60 le persone capaci di interpretare al meglio quei ruoli.

 

Il caso dell’azienda casearia veneta, che ha avuto vasta eco mediatica anche oltre confine, ha una sua specificità legata alla disponibilità a tentare l’avventura da parte di un folto gruppo di ex-compagni di scuola del titolare, e sarebbe una forzatura volerne fare un modello operativo generalmente valido. Ma è indubbio che ultimamente si è manifestata in molti settori produttivi una rivalutazione dell’importanza dell’età matura, diciamo dai 50 anni in su, intesa come garanzia di affidabilità, concretezza, stabilità di comportamenti e scelte di vita. Una sorta di contraltare rispetto agli atteggiamenti di una parte consistente della popolazione giovanile, propensa ad abbandonare il proprio lavoro o a rifiutare offerte di nuovo impiego per ragioni che trascendono il mero aspetto remunerativo e toccano piuttosto la sfera della soddisfazione personale più ampiamente intesa: disponibilità di tempo libero, buoni rapporti con capi e colleghi, organizzazione aziendale che consenta autonomia d’azione e sviluppo della creatività, etc. Sempre con riferimento all’area regionale veneta il rapporto “Sestante” rileva come i nuovi contratti “senior” siano cresciuti del 18% nel 2022 rispetto al 2019, ultimo anno prima della pandemia, mentre le assunzioni di giovani siano calate seppure di poco (1%). Gli imprenditori locali spiegano questo trend in vario modo. Uno per tutti il giudizio di Nico Pittarello, presidente di Transpack Group che opera nel campo degli imballaggi industriali: “I ragazzi cercano prospettive e cambiamento, ed oltre alla fatica di trovarli c’è quella di tenerli, mentre i cinquantenni sono più stabili ed affidabili”.

 

Ma l’apparente mini-boom dell’occupazione in età avanzata non riguarda solo il Nord-Est. Se allarghiamo lo sguardo al resto del Paese ritroviamo lo stesso trend positivo. Le dimensioni della crescita sono evidenti sia in termini relativi, nel confronto fra fasce d’età, sia in cifre assolute. Dai dati diffusi recentemente dall’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) risulta infatti che nel 2022 il 37% dei lavoratori occupati appartiene al gruppo compreso fra 50 e 64 anni. Erano il 27% nel 2012 e solo il 21% nel 2005. Lo stesso trend favorevole all’occupazione over-50 emerge dalle statistiche dell’Istat, secondo i quali appartiene a quella fascia d’età la stragrande maggioranza (477mila) dei 520mila posti di lavoro in più creati in Italia nel 2023 rispetto al 2022. Ed è sempre l’Istat a rilevare come nello scorso mese di marzo gli inattivi siano aumentati su base mensile fra gli under-50 e diminuiti fra gli over.

 

Naturalmente una delle spiegazioni di questi fenomeni sta nell’invecchiamento della popolazione italiana, e dunque non è necessariamente un segno di vitalità economica. Nel nostro Paese l’età media accertata da Eurostat è 48 anni, molto più alta della media europea che è di poco superiore a 44. Questo dipende ovviamente dal fatto che il tasso di natalità in Italia permane molto basso. Gli ultracinquantenni sono14 milioni, vale a dire il 23% della popolazione italiana. Altro fattore importante di cui tenere conto per capire le ragioni di questo incremento di occupazione senile sono i disincentivi al pensionamento anticipato che in varie forme e varie misure si sono succeduti attraverso diversi governi a partire dalla riforma Fornero del 2011. Quest’ultimo elemento di per sé non crea necessariamente più opportunità di lavoro per gli anziani, potendo al contrario produrre un aumento dei disoccupati. E infatti l’Italia, paradossalmente, si situa al di sopra della media della cosiddetta Eurozona sia per quanto riguarda gli over-50 occupati (37% rispetto al 34%) sia, seppure di poco, per quanto riguarda i senza-lavoro (il 5,7% rispetto al 5,5%). 

 

Questi ultimi dati sono diffusi da Eurostat e fotografano la situazione esistente nel 2019, cioè appena prima che iniziassero i grandi sconquassi economici provocati dall’emergenza Covid e dai grandi conflitti bellici. Ci si potrebbe aspettare che la percentuale di occupati anziani sia più alta nei Paesi in cui è più elevata l’età minima per andare in pensione. Ma non è necessariamente così. Nei Paesi nordici, dove si va in pensione più tardi, la quota di occupati over-50 è più bassa della media europea, ma lo è anche la percentuale di disoccupati. Esemplare il caso della Norvegia, in cui si lavora fino a 67 anni, che ha una quota di ultracinquantenni occupati pari al 32%, e soltanto l’1,7% di non occupati.

 

Importante è notare è che i livelli d’occupazione senile non variano solo da Paese a Paese, ma soprattutto a seconda del settore produttivo. Gli anziani sono più richiesti nell’agricoltura, nell’attività mineraria, nella pubblica amministrazione. Il contrario avviene nel settore dell’ospitalità, dello spettacolo, del commercio, e in altri ambiti in cui sono apprezzate le doti di innovazione e creatività tipiche del mondo giovanile. Ciò vale ad esempio per gli investimenti finanziari e le tecnologie informatiche. Con notevoli differenze però fra Paese e Paese. In Italia ad esempio in questi due settori la presenza di anziani è più consistente rispetto alla media europea. E questo paradossalmente potrebbe non essere un buon segnale. 

 

Secondo uno studio pubblicato dall’associazione “Etica ed economia” infatti ciò dipenderebbe “dall’arretratezza tecnologica e organizzativa di alcuni settori, a cominciare da quelli che erogano servizi pubblici per arrivare fino alla ITC e alla finanza, che assorbono meno giovani rispetto ai partner europei”. In base a calcoli piuttosto complessi la ricerca ipotizza che una rapida modernizzazione della struttura produttiva rischierebbe di cancellare una quantità di posti di lavoro per gli over-50 compresa fra 0,7 e 1,5 milioni. Naturalmente ciò non significa auspicare il mantenimento di condizioni di sviluppo inferiori ad altri Paesi europei. Semmai è un invito a migliorare il nostro sistema ispirandosi a modelli equilibrati, come quello tedesco, in cui la formazione professionale continua tocca ogni fascia d’età. E infatti in Germania la percentuale di disoccupati fra gli over-50 in età da lavoro raggiunge appena il 2,4%, mentre in Italia, come dicevamo prima, arriva al 5,7%.

 

Insomma non si può interpretare l’aumento dell’occupazione senile in Italia come un segnale univoco. Ci sono aspetti positivi e negativi. E per tornare là da dove avevamo iniziato, se alcuni imprenditori trovano conveniente pescare nella fascia più anziana dei lavoratori in cerca di occupazione, molti loro colleghi la pensano in maniera del tutto diversa. Due su cinque, afferma l’INAPP, valuta insufficienti le competenze digitali degli over-50, e per quasi il 30% l’età avanzata dei dipendenti rappresenta un handicap anche per quanto riguarda l’adattabilità a nuove forme di organizzazione aziendale.



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