C'è chi lavora meglio la mattina presto, c'è chi, invece, trova una carica produttiva incredibile al calar del sole o, addirittura, di notte. Per ogni professionista esiste un orario ideale per essere più produttivi e, si sa, orari e rendimento corrono sulla stessa via, ma indicare un orario universale per tutti è sicuramente più complicato.
Ma allora, qual è l'ora più produttiva per lavorare? A questa domanda ha pensato di rispondere uno studio dell'Iza Institute of Labor Economics realizzato dall'università Monash con sede in Australia e a Granada, che per cinque anni ha analizzato il comportamento degli studenti inglesi che hanno dovuto affrontare 500 esami in diversi orari: 9:00,13:30,16:30.
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Tim Cook, amministratore delegato di Apple, si sveglia tutte le mattine alle 3:45 alternando palestra e lavoro, alle 4:45/5:00 si sveglia invece l'ex First Lady Michelle Obama per allenarsi. Come loro, però, ci sono tante persone di successo che scelgono di svegliarsi molto presto.
In base allo studio a cura dell'Iza Institute of Labor Economics, l'orario migliore sarebbe durante la pausa pranzo, nello specifico, nella fascia oraria delle 13:30. Questo perché, tra circa 6 esami per studente, i migliori risultati in termini di rendimento, e quindi di punteggio, sono stati ottenuti proprio nelle prove sostenute in quell’orario.
Ma la produttività, ovviamente, non dipende solo dall'orario ma anche da altri importanti fattori. Tra questi ci sono le stagioni: in estate, per esempio, l’attenzione del cervello sembra essere più costante durante tutta la giornata, in inverno, invece, si si diventerebbe più produttivi dopo pranzo, anche a causa delle minori ore di luce. Ma c'è un ulteriore elemento fondamentale, l'età: più diventiamo grandi, più anticipiamo l’orario migliore.
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Secondi diversi studi, lavorare meno mantenendo la produttività, implica una migliore gestione manageriale, di quantificazione e priorità degli obiettivi, efficienza dei processi, e di gestione di sé al lavoro (concentrazione, energia, stress, resilienza).
Ma, quindi, quali sono gli ostacoli che bloccano i datori di lavoro e le aziende da questo punto di vista? Si parla, soprattutto, della paura di perdere di vista gli obiettivi lavorando meno, del possibile aumento dei lavoratori, dei tempi delle trattative interne e via dicendo.
Tuttavia, analizzando, il tempo lavorativo reale, si conclude che sul posto di lavoro le distrazioni siano molteplici, sia per quanto riguarda le fonti esterne all'azienda (social, gaming), sia per quanto concerne le fonti interne (colleghi, mail, chat, superiori). Da una pessima organizzazione, di conseguenza, deriva una scarsa attitudine al raggiungimento dei risultati. Pensate: in base a uno studio intitolato Putting a Finger on Our Phone Obsession: mobile touches: a study on how humans use technology, si mostra come in media tocchiamo lo smartphone 2617 volte al giorno con punta (per alcuni) di 5427, con un impiego di tempo compreso tra i 145 ed i 225 minuti, fortemente concentrati negli orari di lavoro, in particolare a causa di Facebook e Whatsapp.
Una ricerca di Adobe, invece, mostra che gli impiegati spendono una media di 6 ore al giorno sulle e-mail, controllandole 74 volte al giorno. Skype è un altro mezzo di distrazione, specialmente se lasciato in modalità “disponibile”.
Il concetto è chiaro: limitando le distrazioni, si aumenta la produttività, compresa quella dei manager. Staremo a vedere cosa succederà da qui alla fine della pandemia e, di conseguenza, cosa capiterà alle tante aziende che utilizzano la modalità smart working. Una volta finito tutto, il lavoro agile sarà solo un pallido ricordo o continuerà a esistere per garantire maggior benessere e flessibilità per i lavoratori? E soprattutto, esisterà davvero un futuro in cui si lavorerà soltanto 4 giorni alla settimana?
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