Ormai non si parla di altro, il Coronavirus, ormai da settimane, prosegue inesorabile la sua marcia mortale nel continente cinese, e non solo. Si ha paura di un imminente contagio, si sono riscontrati casi specifici anche in Europa, e le persone iniziano a temere uno squilibrio economico mondiale, certamente da non sottovalutare. Oltre alle migliaia di vittime, infatti, l'impatto di questa tragica epidemia sull'economia è davvero catastrofica, una sorta di nuova Peste, che nel 14simo secolo uccise un terzo della popolazione europea, una percentuale di mortalità che si avvicinava al 75%. Ovviamente, gli effetti mortali e infettivi del Coronavirus non possono essere certo paragonati a quelli della Peste. Il punto cruciale è che la Cina è una nazione fondamentale per l'economia globale, e questo può raddoppiare le conseguenze negative di numerosi settori produttivi. Basti pensare all'industria elettronica e quella automobilistica, Pechino detiene infatti il 30% delle esportazioni globali, parti a cinque volte il fatturato della Germania, ed è leader nelle componenti dell'industria automobilistica. Proprio per questi motivi, la Cina può mettere in seria crisi interi settori relativi, ora che è tutto inesorabilmente fermo.
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Si temono ripercussioni per Fiat Chrysler (già in una situazione critica), ma anche per Hyundai, che si è già trovata a chiudere le fabbriche in Corea del Sud, e per Volkswagen, che ha posticipato la riaperture delle sedi cinesi. C'è poco da fare, la Cina in questo momento blocca le catene di approvvigionamento mondiale a causa del contenimento dell'epidemia con la quarantena in gran parte del suo territorio: questo si tramuta in un cambiamento preoccupante per la domanda economica globale, dato che la Cina importa l'11% del volume totale delle esportazioni il 2,7% in più di 20 anni fa.
Standard & Poor's ha tagliato al 5% le stime di crescita del PIL cinese per il 2020, contro il 6,1% del 2019. Goldman Sachs ha ridotto le previsioni della crescita globale a 3,25% per il 2020 contro il 3,1% dell'anno precedente. Dati che prevedono comunque una diminuzione degli effetti letali del virus entro la fine del primo trimestre dell'anno; se così non fosse, la recessione globale sarà davvero devastante. Dalla Cina dipende infatti un terzo della crescita globale, ancor più degli Stati Uniti, Europa e Giappone messi insieme. Secondo Andy Rothman, 10 anni fa la crescita economica cinese era circa del 9,4% mentre quella dello scorso anno è stata del 188% in più. Grazie a questo dato si capisce ancor di più l'importanza della Cina per i suoi lavoratori e consumatori.
Pensiamo poi al settore dell'ospitalità, del turismo e dei viaggi: i viaggiatori cinesi si muovono in tutto il mondo e sono abituati a soggiornare per lunghi periodi di tempo e, di conseguenza, a spendere di più rispetto ai cittadini statunitensi, per esempio. Non è difficile riflettere quindi sulla perdita da parte di negozi, ristoranti e servizi turistici in tutto il mondo.
C'è chi parla poi di una sorta di seconda Sars, che nel 2003 aveva fatto diminuire la crescita cinese per un breve periodo. La differenza è che oggi la Cina rappresenta il 16% del prodotto interno lordo globale, rispetto al 10% del 2003. Di conseguenza, ci potrebbero essere deficit economici globali molto più negativi. Oggi la provincia di Hubei, per esempio, è di fondamentale importanza per l'economia cinese, grazie alle numerose catene di approvvigionamento industriali: se si dovesse bloccare il loro funzionamento, cadrebbero gli accordi commerciali con gli Stati Uniti, causando un impatto geopolitico non indifferente, specialmente nei settori dell'high tech. Si sono già verificati, inoltre, delle importanti ricadute nei prezzi delle materie prime, sulle quotazioni de rame, del petrolio e di altri metalli industriali, che sono crollati del 10% già da metà gennaio.
Nel mese di febbraio, un solo giorno di sospensione prolungata del lavoro provoca una perdita mensile di valore aggiunto industriale pari a circa lo 0,35%, soprattutto nell'industria delle costruzioni e dei servizi, dove vi è un'alta concentrazione di lavoratori migranti, con una perdita di PIL dello 0,46%. Ulteriori ritardi causerebbero la chiusura di micro, piccole e medie imprese, con un importante incremento del tasso di disoccupazione e ritardi prolungati nelle catene di forniture a livello globale, aggravando, come già detto in precedenza, le relazioni già tese tra Cina e Stati Uniti.
In generale, gli effetti più negativi ed evidenti si riscontrano nei Paesi vicini alla Cina e quindi più dipendenti da essa: Hong Kong (-1,2 del PIL atteso), Singapore (-0,8%), Giappone (-0,3%), Corea del Sud e Australia (-0,5%). Europa e Stati Uniti comunque, secondo le stime seppur provvisorie, avranno perdite economiche più contenute. In Italia, il 2020 è inoltre l'Anno della Cultura e del Turismo Italia-Cina 2020, ideato per promuovere lo scambio culturale tra i due Paesi: secondo le prime stime, si attendevano ben 13 milioni di turisti cinesi in Italia, fenomeno che sicuramente non avverrà.
In ogni caso, se si continuerà a bloccare l'infezione, si arresteranno ancor di più i flussi commerciali e migratori con le catene di approvvigionamento ridotte, una minor fiducia delle imprese e con un commercio internazionale diminuito. Non ci resta che attendere le ultime notizie riguardo la diffusione e il contenimento del virus, speriamo positive.
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