Phil Knight, tra i più grandi e influenti imprenditori al mondo grazie alla geniale creazione della Nike, brand che ha rivoluzionato il concetto di sport in tutto il mondo. Oltre che fondatore della Nike Inc., Knight è stato anche amministratore delegato della società dal 1964 al 2004; nel 2016 decide di andare in pensione e di prendere parte solamente al consiglio di amministrazione.
Ma come è arrivato ad avere così tanto successo? Come ha fatto Phil Knight a diventare il creatore di un marchio dal valore di decine di miliardi di dollari?
“Le dissi che non volevo a nessun costo lavorare per qualcun altro. Volevo costruire qualcosa che fosse mio, qualcosa da poter indicare e dire: l’ho fatto io. Era l’unico modo che conoscevo per dare un senso alla vita”.
Queste sono le sue parole, tratte nientemeno che dal libro autobiografico “L'arte della vittoria”, uscito in Italia nel 2016. Il senso di questa frase sta tutta nel suo grande desiderio di innovazione, che lo ha portato, insieme al suo ex allenatore di atletica Bill Bowerman, a fondare Nike. Nike non è solo un brand ma un concetto molto più ampio che fa capo a forza, coraggio e costanza nel perseguire i propri obiettivi.
Nike oggi possiede un fatturato annuo da 34 miliardi di dollari, oltre 74mila dipendenti e uffici in 52 Paesi in tutto il mondo. Il suo logo, lo Swoosh, è conosciuto da tutti, tant'è vero che è risultato 18° nella classifica dei marchi più potenti di tutto il mondo.
“Che diavolo è uno swoosh? La risposta mi uscì da sola: è il rumore di qualcuno che ti supera”.
Oggi, 82enne, Phil Knight è tra gli uomini più ricchi al mondo con un patrimonio netto di 33,5 miliardi di dollari (datato al 2018).
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Phil Knight nasce a Portland nel 1938, si laurea in contabilità nel 1959 presso l'Università dell'Oregon e inizia a lavorare come contabile per Coopers&Lybrand e, successivamente, per Price Waterhouse. Nel 1962 consegue anche un master in Business Administration a Stanford. Terminati gli studi, decide di viaggiare intorno al mondo e, mentre si trova a Kobe nel 1962, scopre le scarpe da corsa del brand Tiger, oggi conosciuto come Asics. Phil rimane impressionato dalla loro qualità e dal basso costo, per questo motivo decide di incontrare il proprietario e, alla fine del colloquio, accaparrarsi i diritti di distribuzione del marchio per gli Stati Uniti occidentali.
Nel 1964 fonda la Blue Ribbon Sports insieme al suo coach Bill Bowerman, con l''obiettivo di importare le scarpe Tiger dal Giappone. Arriva subito il success,o grazie al quale viene inaugurato il primo negozio al dettaglio a Santa Monica (California) nel 1966. L’anno successivo, il marchio apre nell’East Coast in Massachusetts. Qualche anno più tardi, nel 1972, la Blue Ribbon Sports rompe i rapporti con i giapponesi, intenzionati a vendere in completa autonomia. Il 30 maggio dello stesso anno nasce Nike Inc., nome ispirato alla dea greca della vittoria; il logo del marchio viene disegnato da Carolyn Davidson, studentessa di design, all'epoca remunerata con soli 35 dollari. Nike pian piano si impone sul mercato, diventando il primo produttore mondiale di accessori e abbigliamento sportivo, specialmente per calcio, pallacanestro e tennis.
Dal 2000 diventa il fornitore ufficiale di palloni per la Liga e la FA Premier League, dal 2007 per la Serie A, Coppa Italia e Supercoppa Italiana; diviene anche sponsor tecnico di importanti squadre calcistiche quali Roma, Atletico Madrid e Chelsea, oltre che di diversi calciatori come Francesco Totti, Andres Iniesta e Cristiano Ronaldo, e tennisti come Serena Williams, Rafael Nadal, Maria Sharapova e Roger Federer.
Nel corso degli anni la società è stata spesso oggetto di critiche per le condizioni di lavoro e i metodi di produzione nelle fabbriche estere. La causa di queste critiche è stato lo sfruttamento dei bambini impiegati nel lavoro di cuciture di palloni e vestiti. Nel luglio 2002, Nike annuncia all'Organizzazione Internazionale del Lavoro un maggior controllo dei suoi stabilimenti per impedire lo sfruttamento minorile. Tuttavia, durante il più grande sciopero nella storia del Vietnam, nell'aprile 2007, gli operai denunciano uno stipendio inferiore al valore di un paio di scarpe.
Knight, dopo la tragica morte del figlio Michael, decide di dimettersi da CEO della Nike, mantenendo comunque la carica di presidente fino al giugno 2016 (dopo ben 52 anni alla guida della compagnia). Allo stato attuale, Knight ne è presidente emerito.
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“Se la mia vita doveva essere tutta lavoro e niente gioco, volevo che il mio lavoro fosse un gioco”
La contabilità non doveva avere la precedenza, qualcosa lo spingeva oltre: “Non che la odiassi; era solo che non mi rappresentava. Volevo quello che tutti vogliono. Essere me stesso, a tempo pieno”. D'altronde, anche il suo team era composto da persone che “non si adattavano alle stupidaggini aziendali. Quelli che volevano fare del lavoro un gioco. Ma anche dargli senso”.
“Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore”
All'interno degli uffici regnava sempre un clima informale e di amicizia, tant'è vero che le riunioni del team erano soprannominate Buttface, ovvero, “facciadaculo”: “Coglieva l’atmosfera informale di quei ritiri, dove nessuna idea era così inviolabile da non poterla dissacrare e nessuno era così importante da non poterlo ridicolizzare, ma riassumeva anche lo spirito, la mission e la cultura aziendale. […] Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore”. A volte le riunioni proseguivano fuori dagli uffici, in un bar chiamato Nido del Gufo in cui discutevano “fino allo sfinimento, parlando tutti insieme, un rito corale di nomi e dita puntate, il tutto reso più rumoroso, divertente e a volte anche più chiaro dall’alcol”.
“Non dire mai alle persone come fare le cose”
Nike si è sempre allontanata dagli standard aziendali, a volte sbagliando o percorrendo strade meno battute. Da ricordare una conversazione con il suo primo dipendente Johnson, che veniva sballottato di frequente in tutto il Paese per seguire i piani audaci di Knight: “È la cosa più folle che abbia mai sentito”commentò. “A prescindere dalla scomodità, a prescindere dalla follia di trascinarmi di nuovo sulla East Coast, ma che ne so io di come si dirige una fabbrica? Non saprei da che parte cominciare”. Mi misi a ridere. Risi e risi. “Non sai da che parte cominciare?” Dissi. “Non lo sai? E quando mai qualcuno di noi l’ha saputo?”. Eppure anni dopo, un famoso docente di economia aziendale della Harvard che studiava il caso Nike, racconta Knight, giunse a questa conclusione: “Di solito, quando un manager di un’azienda è in grado di ragionare sia tatticamente sia strategicamente, il futuro dell’azienda è in buone mani. Ma lei è veramente fortunato: più di metà dei Buttface ragionano così!”. A Knight piaceva anche riassegnare i ruoli in azienda spostando un dipendente dal dipartimento legale al marketing, “per toglierlo dalla confortevole routine del lavoro, come amavo fare di tanto in tanto con tutti per evitare che si adagiassero”. Ma soprattutto: “Non dire mai alle persone come fare le cose. Dì loro cosa fare e ti sorprenderanno con la loro ingegnosità”.
Non solo di profitti vive un’azienda
“Mi rendo conto che per alcuni fare affari significa perseguire il profitto a oltranza, punto e basta, ma per noi, dire che il nostro solo scopo era fare soldi era come dire che il solo scopo di un essere umano è produrre sangue. […] Come tutte le grandi aziende, anche noi volevamo creare, contribuire, e avevamo il coraggio di gridarlo. Quando fai qualcosa, quando migliori qualcosa, quando fai nascere qualcosa, quando aggiungi una cosa o un servizio nuovo alla vita degli altri, rendendoli più felici, o più sani, o più sicuri, o migliori, e quando lo fai in modo in incisivo ed efficiente, in modo brillante, nel modo in cui si dovrebbero sempre fare le cose – anche se è raro che sia così -, partecipi con maggiore pienezza al grande dramma di tutta l’umanità. Anziché vivere e basta, aiuti gli altri a vivere più pienamente, e se questo è fare affari, bene, allora chiamatemi un uomo d’affari”.
Seguire la propria vocazione
Ecco alcuni suggerimenti per tutti i giovani che vogliono fare impresa: “Direi a quelli che non hanno ancora trent’anni di non accontentarsi di un lavoro, di una professione, e neppure di una carriera. Di cercare una vocazione. Anche se non sanno cosa significa, la devono cercare. Seguendo la propria vocazione, la fatica sarà più facile da sopportare, le delusioni fungeranno da carburante, e proveranno soddisfazioni mai provate prima. […]. E quelli che invitano gli imprenditori a non rinunciare? Sono ciarlatani. A volte devi rinunciare. A volte, sapere quando rinunciare, quando provare qualcos’altro, è un colpo di genio. Rinunciare non significa fermarsi. Non fermatevi mai”.
Se volete scoprire di più sulla vita del grande Phil Knight, vi consigliamo di leggere la sua autobiografia “L'arte della vittoria”. Tra genialità, perseveranza e grande talento, il libro può essere un valido strumento per trarre ispirazione e apprendere numerosi insegnamenti di vita.
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