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Rivoluzione South Working: il lavoro smart diventa a portata di mare

MARTEDÌ 11 AGOSTO 2020 | Lascia un commento
Foto Rivoluzione South Working: il lavoro smart diventa a portata di mare
Scritto da Stefania Pili

Lavorare al nord vivendo al sud: questo è il desiderio di tanti lavoratori che, approfittando del lavoro agile, sono tornati a casa dai propri cari senza rinunciare al lavoro per la stessa azienda. Non solo le regioni del sud ma, ovviamente, anche in altri parti d'Italia o del mondo. È proprio questo il fenomeno del South Working, nato dall'emergenza Coronavirus e dall'esigenza di lavorare a distanza nella propria abitazione. Ora che l'emergenza si è placata e non si è più costretti alla quarantena forzata, in molti decidono di ampliare i propri orizzonti e dirigere la propria rotta verso nuovi territori.

Se fino a pochi mesi fa lo smart working in Italia era considerato una vera e propria utopia, ora addirittura si passa al South Working, complice anche la bella stagione e il clima perfetto per lavorare vista mare (ma non solo). In molti però, vogliono che questo sia un traguardo decisivo per il futuro, una modalità di lavoro definitiva.

Il progetto di South Working – Lavorare dal Sud, è stato ideato da Global Shapers Palermo Hub, la prima e unica community del Sud Italia rappresentata da 15 giovani tra i 20 e i 29 anni che condividono lo spirito del Word Economic Forum, la Fondazione senza scopo di lucro nata a Ginevra nel '71 per migliorare le condizioni del mondo. In questo specifico caso lo scopo è diffondere la possibilità di lavoro agile da dove si desidera, in particolare nelle regioni del Sud Italia, allargando e potenziando il concetto di smart working esistente. Un vero e proprio acceleratore di innovazione aziendale se non fosse per il problema dello spopolamento delle principali città del nord. Un “allarme” reso noto da “Il Sole 24 ore”, che ha analizzato gli introiti in meno per Milano a vantaggio del Sud: in 20 anni Milano ha guadagnato circa 100mila residenti provenienti da altre regioni d'Italia, soprattutto dal Mezzogiorno. Al momento però, dopo la pandemia, in tanti sono rientrati nelle zone di origine a lavorare al Nord restando al Sud, causando meno clientela per bar e ristoranti nelle pause pranzo e meno richieste per il mercato immobiliare.

 

Consulta anche: “smart working in città: l'app che trasforma i bar in spazi di lavoro

 

La nascita del South Working

Elena Militello è una ricercatrice dell'Università del Lussemburgo, ha 27 anni e si occupa di procedura penale comparata. Lascia Palermo, la sua città d'origine, per trasferirsi a Milano e studiare alla Bocconi; arriva poi il dottorato negli Stati Uniti, la Germania e il contratto di ricerca a tempo indeterminato. È felice ma vorrebbe riabbracciare la sua terra natia e lavorare nella sua Sicilia (o dalla Sicilia.) È con la pandemia la sua idea si è evoluta. A fine marzo rientra a Palermo e inizia la sua esperienza con il South Working, decidendo di rimanere nella sua città a tempo indeterminato e facendo nascere il progetto South Working – Lavorare dal Sud: “Lo scopo del progetto è infatti quello di studiare e agevolare il fenomeno dello Smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, qualunque essa sia”, dichiara Elena.

L'obiettivo, infatti, non è solo poter tornare nella propria regione di appartenenza, ma riorganizzare il contesto aziendale che si concentra ancora attorno a pochi grandi agglomerati urbani, obbligando le stesse aziende a limitare il reclutamento a determinate aree geografiche. Città dove il costo delle case è decisamente proibitivo e dove buona parte dello stipendio scarseggia già a fine mese.

“Stiamo avendo contatti con diverse aziende – racconta Elena - e valutando la fattibilità del progetto. Stiamo, inoltre, censendo tutti i luoghi che in qualche modo possano diventare spazi di coworking, hub insomma, presidi sociali sul territorio. Un modo per vivere anche la socialità. Non da ultimo, abbiamo realizzato un questionario per comprendere quali siano le caratteristiche della platea dei potenziali interessati al progetto. I dati verranno resi noti in seguito, ma, per ora, posso dire che il feedback è molto positivo”.

L'obiettivo di lungo termine dell'iniziativa è quello di stimolare l'economia del Sud, aumentare la coesione territoriale tra le varie regioni d'Italia e d'Europa e creare un terreno fertile per le innovazioni e la crescita al Sud: “Le leggi non mancano, bisogna solo applicarle”, conclude Elena.

Si va quindi oltre lo smart working e la disparità fra nord e sud. Lo scopo è vedere il lavoro da una nuova prospettiva e con un progresso digitale, non per forza industriale tradizionale o turistico, proprio come è accaduto per la rinascita di Lisbona e le sue startup.

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Storie di rientri e nuove vite

Questa è la storia di Betty Codeluppi che, insieme al compagno Lorenzo Guerra, ha lasciato Milano a inizio giugno per stare in Costiera Amalfitana e Campania fino a fine agosto. Betty è un'imprenditrice nel settore moda e ha uno show-room di abiti firmati usati che ha dovuto chiudere a causa dell'emergenza sanitaria. Questo le ha permesso di vendere online e cercare nuovi contatti al sud. Lorenzo invece ha un'azienda di commercio di cibo italiano, Italentfood, con sede a Bolzano.

In un'intervista rilasciata all'Huffpost Betty dichiara: “Capisco che il sindaco sia preoccupato, vorrebbe che tutti producessero e consumassero a Milano. Ora non è più così, questa esperienza ce l’ha insegnato. Puoi produrre per un’azienda milanese e poi consumare dove ti pare. Anche noi nel nostro piccolo lo stiamo facendo: lavoriamo e spendiamo qui, e non a Milano”. E aggiunge: “Ho tanti contatti qui, sto cercando produttori. Lavoro dal mattino fino a metà pomeriggio e poi vado in spiaggia. Ho sostituito l’aperitivo serale in Paolo Sarpi con un bagno al mare. Non ho problemi con il wi-fi e lavoro più di prima, ma con un’altro spirito. Qui la vita costa molto di meno, la metà o forse anche meno rispetto a Milano”. “Ci spostiamo comodamente sui mezzi pubblici - aggiunge lei -, puntualissimi, sui bus che io continuo a chiamare tram da buona milanese. Trovo che siano tutti molto rispettosi delle regole, tutti con le mascherine e ben distanziati. La presenza del presidente della Regione Vincenzo De Luca si sente, lo considerano come un santo qui, e standoci ti rendi anche conto anche del perché”. E non si sentono neppure isolati dal resto del mondo, anzi. “Senza problemi mi sono fatta spedire qui una selezione di abiti che ho già venduto” dice Betty. “E poi per qualsiasi cosa - aggiunge Lorenzo - con l’alta velocità in 5 ore siamo di nuovo a Milano”.

 

Da Bergamo a Ostuni: questa è la storia di Carlo Caporizzi, che lavora nel settore servizi per l'editoria. La tecnologia lo aiuta tantissimo ed è proprio per questo che si sente agevolato nella sua scelta: “Anzi. Credo di lavorare ancora di più - Prima facevo più o meno tre viaggi a settimana, prendevo sei voli in sette giorni. Ora, non potendo più andare dai clienti, risparmio tempo e posso finalmente finire lavori che avevo in arretrato. Ho visto persone che non mi sarei mai aspettato collegarsi in video conferenza. Alla fine un gran risparmio di tempo. Credo che a questo punto non ci siano più dubbi su come in certi settori si possa riorganizzare il lavoro usufruendo dello smart working. Credo inoltre che potrebbero anche esserci più opportunità per i giovani di entrare nel mondo del lavoro nei settori che consentono di lavorare da remoto”. Conta la qualità del tempo dedicato al lavoro ma anche quello dedicato alla famiglia. “Visto che posso lavorare ovunque in smart working sono qui con la mia famiglia. Non siamo mai stati così tanto tempo insieme”.

 

Ritorno all'infanzia per Carmelita, che lavora per una banca a Milano. A inizio giugno è tornata a Siderno, nella città metropolitana di Reggio Calabria: “Ho passato qui la mia infanzia - Da tanto tempo non tornavo per tutta l’estate. Da quando ho 18 anni vivo a Milano, sono arrivata per studiare in Bocconi e mi sono fermata lì. Sono una donna del sud che si è milanesizzata: anche qui mi alzo alle 6, massimo 6 e mezza, organizzo la giornata a tutti e inizio a lavorare. Solo che non devo prendere la metropolitana e pensare al dress code. Mi sposto al massimo in bicicletta per le spese nei negozietti e poi costume e ciabatte tutto il giorno. Ma ti assicuro: massima produttività”. Tutto questo è stato reso possibile dalla Banca per la quale lavora, un'opportunità che le ha permesso anche di far vivere una vita diversa ai suoi figli: “Sono adolescenti, non ne potevano più di stare in casa. Qui possono uscire, e io sono molto più tranquilla e felice. Vedo dopo tanto tempo il paese che si risveglia e si prepara all’estate. Non succedeva da quando ero bambina”.

Da Milano a Lecce: la storia di Ludovica Casilli, che lavora nel settore moda. Dal 2011 vive nel capoluogo lombardo per studiare e lavorare ma decide di tornare a Lecce e lavorare in smart working. Purtroppo il periodo al sud dura poco e il 7 marzo è costretta a tornare a Milano: “Ricordo bene quel volo. Ero da sola in aereo, l’unica in direzione Milano, ma volevo tornare. Il mio fidanzato è di Caserta, non volevo lasciarlo solo a Milano. Ma è stata dura. Dalla finestra di casa vedevo le persone in coda al supermercato. Mi sono sentita in prigione. L’unica soddisfazione non dover prendere la metro al mattino: potevo svegliarmi alle 9 meno cinque ed essere pronta in 5 minuti per lavorare. Non ho dovuto perdere tempo sui mezzi o a prepararmi prima di uscire”. Oggi Ludovica è tornata nella sua città e conta di rimanerci per tutta l'estate: “Dopo aver settato tutto il processo e capito il perimetro d’azione, lavorare da remoto è stata un’ottima opportunità, e lo sarà soprattutto ora. Solo vorrei che ci fosse un po’ più di separazione tra il momento del lavoro e quello privato”.

 

Da Milano alla Sicilia: la storia di Federica Caruso, che lavora come legale per una multinazionale con sede a Milano, un'azienda che conosce già il mondo dello smart working, nonostante la “semplice” vendita di taccuini e quaderni: “Per contratto si potevano fare in questa modalità già due o tre giorni al mese. Quindi il cambio di mentalità è stato meno brutale. Da subito molti sono rientrati a casa: chi al lago, chi in montagna. Molti si sono trasferiti ma questo non ha inciso per nulla sulla produttività”. Federica ha lavorato dal sud la scorsa settimana, quando è tornata a Galatone, comune in provincia di Lecce con poco più di 15mila abitanti. Lì è cresciuto suo marito Massimo. “Oltre a lavorare di più con lo smart working puoi fare più cose per il tuo equilibrio personale. Iniziavo la giornata con una nuotata al mare alle 8 del mattino e poi dalle 9 ero alla scrivania a lavorare. Nel weekend ho anche fatto delle immersioni. Se fossi stata a Milano non avrei potuto farlo perché sarei dovuta andare fino in Liguria, tre ore di macchina, le code. Avrei perso la voglia già prima di partire”. L’agilità al lavoro è stata rispettata. “Con gli strumenti che abbiamo, non c’è alcun bisogno della presenza in ufficio: la scorsa settimana ho anche fatto una riunione a fine giornata dalla pineta. Non cambia nulla se si lavora al nord o al sud. Non cambia di sicuro per la tua azienda. Ma cambia per te: puoi lavorare sotto un cielo azzurro e a due passi dal mare, con eventualmente la suocera che ti guarda i bambini. Ho lavorato molto meglio: sono stata più concentrata, e mi sono tolta in parte lo stress che avevo nel vivere in una grande città”.

 

Ci sarà realmente una nuova attenzione verso i temi della connettività nei piccoli comuni, una nuova didattica digitale e una maggiore produttività a distanza? Le premesse sono incoraggianti ma occorre concretezza e realismo per quella che sembra essere una nuova rivoluzione del lavoro post Covid.

 

Per approfondire: “Aumento della produttività lavorando da casa: un nuovo equilibrio da adottare anche in futuro?



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