Sempre più lavoratori al giorno d’oggi sono orientati verso una modalità di lavoro differente dalla versione tradizionale di ufficio fisso. Parliamo nello specifico del cosiddetto lavoro agile, detto più comunemente smart working.
Secondo il sito ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il lavoro agile viene definito come: “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
E si continua a leggere: “La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone). Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall'INAIL nella Circolare n. 48/2017”.
Facciamo chiarezza: lo smart working deve essere visto come una trasformazione, un’evoluzione dello stile di vita di un lavoratore. Non deve essere confuso con il concetto di libera professione o di nomadismo digitale, ma come una prestazione professionale che viene svolta sia all’interno dell’azienda, sia all’esterno, a discrezione del dipendente che decide in totale autonomia e libertà la propria postazione, con gli orari prefissati nel proprio contratto. Quindi in parole povere, potete decidere di lavorare a casa, da una capitale europea o da una località esotica, purché abbiate a disposizione tutti gli strumenti tecnologici necessari assegnati dal datore di lavoro (responsabile anche della vostra sicurezza) Per quanto riguarda invece la durata del lavoro agile, dipende sempre dal contratto stipulato da entrambe le parti: può durare per qualche giorno nell’arco di un mese o per alcune settimane durante l’anno, o quasi del tutto a distanza dalla sede aziendale, questo è variabile anche dal tipo di ruolo ricoperto dal professionista.
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Esistono dei benefici per chi adotta lo smart working? Assolutamente sì, e non solo per l’azienda, ma anche per il lavoratore e per l’ambiente. Vediamoli più nel dettaglio.
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E in Italia com’è la situazione? Dal 2017 sembra esserci stata una crescita con circa 300mila lavoratori assunti con un contratto smart. Secondo i dati dell’Osservatorio Digital Innovation, lo smart working in Italia continua a diffondersi sia nelle grandi imprese (24%), sia nelle PMI (9%). In ogni caso, si tratta di una crescita piuttosto lenta rispetto ai Paesi europei come Inghilterra e Olanda, dei veri e propri precursori del modello agile; in tutto il territorio europeo si evince che la percentuale dello smart working sia intorno al 17%, mentre gli Stati Uniti, si dimostrano i leader più smart con ben il 20% di impiegati assunti, percentuale che si pensa continuerà sempre più a crescere in futuro.
Secondo un recente studio di Randstad Workmonitor, l’idea dello smart working piace molto ai lavoratori italiani: più di otto su dieci, infatti, sarebbero a favore. Tuttavia, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, solamente il 36% di grandi aziende (su un campione di 206), lo applica. Ergo, esiste un vivo interesse ma vi è ancora un’assenza di cultura e mentalità aziendale in grado di evolvere verso un sistema più flessibile e fatto su misura del lavoratore. Serve una forte educazione manageriale per raggiungere un’idea di lavoro nuova e caratterizzata non più da controllo attento e vigile verso chi lavora, ma da una collaborazione basata sulla fiducia e il rispetto, che ne aumenti il rendimento e la soddisfazione complessiva.